Giulia Mirandola per Sarmede 2015

IN UN POSTO COLORATO. INTELLIGENTEMENTE, FOLLEMENTE, SENSIBILMENTE

di Giulia Mirandola

Secondo una prassi consolidata, in una mostra di illustrazione sono prevalentemente esposte immagini giunte al termine di un processo compositivo. Ce ne interessiamo in quanto appaiono nella loro forma conclusiva e attorno a essa muoviamo delle considerazioni. I materiali appartenenti alle fasi di lavorazione passano in secondo piano, l’abitudine a non vederli oppure a scartarli incide sulle nostre percezioni, influenza sensibilmente i modi di leggere le figure. Cadiamo sovente nella credenza che l’immagine non parli, che stia a noi, in ragione di ciò, colmare i suoi silenzi perfetti. Meditare un metodo differente di godimento delle trame della visione, potrebbe però spostare le regole del gioco e consegnarci intatta l’eloquenza delle immagini. Sono innumerevoli le sue voci, quando un lettore non reticente le chiama, probabilmente rispondono. Aiuta in questi casi, trovare la giusta distanza tra sé e l’oggetto della visione. Le curiosità hanno fonti sparse ovunque sulla pelle liscia delle immagini stampate e su quella liquida delle immagini digitali, cercarle e forse trovarle è l’invito che porge questa mostra ai suoi ospiti. Di che montaggi ed esercizi della mano e del pensiero si compongono i giorni della progettazione di un libro, di una copertina, di un’illustrazione editi? Perché una forma è tonda e un’altra è spigolosa? Se fosse stato giallo, se fosse stato rosso, se fosse stato nero? Non si sa come, tralasciamo il piacere di tuffare le nostre intelligenze nel mare delle immagini d’autore per nuotarvi attraverso, sapremmo forse allora raccontare in libertà, dove siamo stati, chi abbiamo incontrato, cosa accade tra noi e le immagini, mentre leggiamo le figure. La produzione di Giulia Orecchia, nell’anno in cui il suo lavoro di autrice compie trentacinque anni, parla una lingua sempre più colorata, amica dell’emotività e delle intensità che le emozioni traghettano a livello superficiale e profondo nel momento in cui una storia nata fuori da noi è pronta a camminare dentro noi. In questa mostra confluiscono tasselli di un itinerario artistico che abbraccia un arco temporale esteso abbastanza per comprendere di questa progettista i primi passi sicuri nel mondo dell’editoria per l’infanzia e alcune maturazioni in atto. Visitare lo studio di Giulia Orecchia, accompagnata da Monica Monachesi, durante i mesi preparatori della mostra che Sarmede dedica alla sua ospite speciale in occasione di “Le immagini della fantasia 33”, è stata la chiave per ricercare ciò che i libri per loro natura esprimono sottovoce –per esempio gli attrezzi del mestiere, le mani, la gestualità, il volto dell’autrice, i legami con altri episodi compositivi –e per osservare da vicino lo spazio e gli oggetti che abitano il mondo reale di Giulia Orecchia quando è impegnata a immaginare mondi di fantasia.

Giulia Orecchia non è solo una illustratrice per l’infanzia, ha lavorato e lavora tuttora per il pubblico adulto, svolge attività di docente, apre con continuità il suo studio a bambini e adulti cui offre laboratori di progettazione, costruzione, gioco, disegno e disegno animato, porta il proprio linguaggio all’interno di programmi di solidarietà internazionale, è promotrice insieme a un nucleo di colleghe e colleghi di azioni tese a favorire punti contatto tra il lavoro individuale e la dimensione collettiva. Non ho avuto la prontezza di domandarle cosa significhi per lei l’aggettivo “pubblico”, sono persuasa che sollecitata ad argomentare attorno a tale questione ci troveremmo ad ascoltare una persona incline alla percezione e all’analisi di quanto avviene intorno a sé, nel quartiere, nel paese, negli altri continenti, consapevole del potere della comunicazione visiva e dei limiti del gesto strettamente privato.

In via Montevideo, a Milano, il suo studio parla di lei. Siamo in un posto colorato, Giulia Orecchia nel 2010 gli ha dato un nome, exColorificio. Negli anni Sessanta lo spazio fu davvero un negozio di vernici e pitture, si addice l’appellativo “ex”, è un omaggio ironico alla sorte dei luoghi e alle loro alchimie impensate. Giulia Orecchia, dalle pagine del suo blog, arricchisce in nove punti i perché del nome azzeccato: «ēx: preposizione, parte del discorso invariabile. 1 (moto da luogo) da 2 (tempo) da, fin da, a partire da 3 (tempo) subito dopo, dopo 4 (materia) di 5 (origine) da, di, da parte di 6 (causa) a causa di, per, in seguito a 7 (partitivo) fra, di, tra 8 (relazione) secondo, in base a, conforme a 9 (relazione) nell’interesse di, per.» L’archivio personale di Giulia Orecchia –scatole capienti di cartone tengono uniti i capitoli di vicende creative e tecnologiche alterne, un patrimonio il cui numero di pezzi si misura in multipli di cento, composto da libri, disegni, collage, fotocopie, acetati, acquerelli, scraperboard, incisioni –, a mio avviso si comporta tale e quale Il mare come artigianodi Bruno Munari (Corraini, 1995): «Tu butti qualcosa al mare, e il mare (dopo un tempo imprecisato e imprecisabile) te lo restituisce lavorato, finito, levigato, lucido o opaco secondo il materiale, e anche bagnato perché così i colori sono più vivaci. Naturalmente non te lo restituisce subito, non devi star lì ad aspettarlo, e poi non te lo restituisce nello stesso posto dove tu l’hai buttato. […] Il mare fa questi lavori con quello che il caso gli mette sotto l’onda.» L’arcipelago di segni e situazioni che hanno provocato il corso di un processo editoriale, può riaffiorare a distanza di tempo imprecisato. Aggirarsi attorno ai documenti del passato è appassionante per coloro che gradiscono il profumo dell’attesa, l’imprevedibilità, il dialogo con le lontananze e possiedono il codice per risvegliare le informazioni sfuggite all’attualità.

La pubblicazione di un libro rappresenta certamente un approdo e spesso, fortunatamente, una felicitàper l’autore, per l’editore, per i lettori, per i librai, per i bibliotecari, per i curatori di mostre che ne condividono i destini. Ma èdavvero l’oggetto libro il punto di osservazione privilegiato da cui traguardare le immagini della fantasia di Giulia Orecchia e provare a raccontarle, leggerle, giocarle? Avvicinarsi a concetti e visioni secondo questa modalitàdi interrogazione delle immagini, interessa all’infanzia in modo particolare. Tali effetti si amplificano quando invitiamo espressamente bambini e bambine a frequentare una mostra di illustrazione, il luogo adatto a effettuare esperimenti con la visione, propria e altrui. Sono fenomeni prossimi a quella che chiamiamo visione del mondo, momenti benvenuti per costruire alfabeti, fin da piccolissimi. Alle creature piccole Giulia Orecchia si dedica con immutata cura dai primi giorni di lavoro, quando giovanissima progetta libri per la casa editrice La Coccinella, fondata nel 1977 su intuizione di Loredana Farina, insieme a Domenico Caputo, Giorgio Vanetti, Franco Cangi e Giuliana Crespi. Scrive Farina, «Giulia Orecchia pubblicò il suo primo libro nel 1983: Cinque topini [testo di Alberto Mari]. Era un pop-up. C’è sempre un racconto a latere nelle sue illustrazioni, nei dettagli in cui esprime una tenera e sottile vis comica. Ne diede prova anche con i Libromanoe iLibropiede» (Loredana Farina, Il libro-gioco. Un po’ mestiere un po’ passione, Edizione fuori commercio, 2004). La Coccinella, infatti, non fu solo “i libri coi buchi”, ma un pianeta di soluzioni progettuali e narrative basate sul libro cartonato, sostenute dall’alta tecnologia cartotecnica applicata all’editoria per l’infanzia. Ti faccio bàu,Ma che strane queste rane, Una nuvola, Pugni coccole e carezze(testo di Patrizia Rigoni), Due, uno, tre… gioca con me!(testo di Patrizia Rigoni), A E I O U le vocali… le sai tu?(testo di Patrizia Rigoni), Cinque dita andavano al mare(testo di Patrizia Rigoni), Piedini e piedoni(testo di Giovanna Mantegazza), Calzini e scarponi(testo di Giovanna Mantegazza), sono esempi che risalgono a questa stagione creativa, cui seguirono nel giro di breve altri esperimenti riusciti, concepiti per imparare con le dita e con i buchi nelle pagine dei libri, tra cui Che verso fai?, Trasforma la forma, Quadrato come…(testi sempre di Giovanna Mantegazza). Il buco è una formula magica, un indistruttibile niente, a cui Giulia Orecchia è tornata in tempi recenti, in Animali a mano(testi di Jorje Luián e Teresa Porcella, Franco Cosimo Panini, 2015), non a caso appartenente a una collana intitolata “ZeroTre”.

Poniamo che un albo illustrato sia un’architettura eseguita per ospitare l’essere umano. In base a questa analogia, gli spazi narrativi ideati da Giulia Orecchia paiono studiati per ospitare l’essere bambino nell’alveo di un’atmosfera tipica, concepita per esortare a giocare linguaggi e promuoverne la riproduzione. Disegnare, colorare, progettare, costruire, realizzare, inventare: non per gioco, bensì in quanto gioco. Scrive Grazia Fresco Honegger: «Da che mondo è mondo e presso ogni popolo, il gioco veramente libero è l’occupazione predominante dei primi anni di vita con una finalità precisa: quella del pieno raggiungimento delle capacità adulte. […] Perfino gli altri mammiferi giocano –basta osservare una cucciolata di gatti o di cani –e se non possono farlo, diventano adulti intrattabili, aggressivi. Lo stesso accade agli umani. Se non possono giocare in modo pieno e libero da piccoli, è assai probabile che diventino adulti irritabili, incerti, mortificati.» (Dalla parte dei bambini, L’ancora del mediterraneo, 2011) C’è un gioco che mi pare estremo, non è pericoloso, è in linea con i giochi di cui parla l’allieva di Maria Montessori. La componente libertaria è il suo nerbo, una sorpresa perenne i suoi esiti. Giulia Orecchia lo pone al centro della sua pratica quotidiana e della sua poetica, si direbbe della sua “politica”. È il gioco di giocare disegni. Io disegno(Mondadori, 1997), Io disegno cose e cose(Mondadori, 1998), Io disegno tanti animali(Mondadori, 1999),  Pasticcio disegno coloro(Mondadori, 2002), Il libro dei libri(testi di Niccolò Barbiero, Salani, 2004), la piccola collezione da cartoleria realizzata per Fabriano, sono letture laboratorio, giochi di carta per giocare forme, colori, parole, idee, fare del gesto compositivo il contrario della maniera e dell’inazione, cioè un atto di creazione, di autodisciplina, di autoprogettazione, affidato alle alleanze tra mani, cervello e cuore e ai loro prolungamenti sul piano bidimensionale e tridimensionale, figurativo e plastico, grafico e cromatico. Anche il gioco ha una sua casa. Può stare in una scatola, in un modo di dire, in una linea. Ma è più di tutto a contatto con la natura, in relazione con i corpi umani, in movimento, che giocare è tutt’uno con l’andirivieni di passioni universali: l’amicizia, l’amore, la paura, la rabbia, la compagnia, la solitudine, l’ordine, il disordine, le cose alla fine, all’inizio, al contrario. I mari, le piante, i cieli, le terre, le giungle, i prati, le spiagge di Giulia Orecchia, i fogli colmi di variazioni di pesci, di uccelli, di gatti, di farfalle, di occhi, di facce, comunicano la felicità con cui il gioco raffinato dei mutamenti può spingersi verso l’infinito, senza spavento, con allegria. Il metodo compositivo del montaggio, di cui lei è maestra, è testimone di una globalità di fenomeni che si stratificano. Per questo non è sufficiente definirlo una tecnica o una meccanica: è una filosofia.

Cosa succede quando le figure di Giulia Orecchia incontrano i versi, le rime, la metrica, il ritmo, le metafore, la musica, le iperboli, i chiasmi, le antitesi, le sinestesie, gli eufemismi, le onomatopee, gli ossimori, le similitudini, i nonsense, i limerick, le filastrocche, le ninne nanne, gli indovinelli, le ballate e con loro la scrittura di Gianni Rodari, di Giusi Quarenghi, di Roberto Piumini, di Bruno Tognolini, di Vivian Lamarque, di Chiara Carminati, di Janna Carioli, di Paola Parazzoli? Lo stesso che abbiamo visto capitare nel disegno, giochiamo poesia. Usare la grammatica, la fonetica, la sintassi, la morfologia, la semantica a questo scopo è una prassi che Gianni Rodari, decenni fa, negli ambienti della scuola, aveva già ampiamente esplorato, studiato, descritto, promosso, divulgato. Afferma Bernard Friot (L’Agenda du (presque) Poète, illustrazioni di Hervé Tullet, De La Martinière Jeunesse, 2007), che poesia è ricercare, ricominciare, sperimentare, manipolare, inventare, imitare, riprendere, modificare, tentare una nuova esperienza, usare tutti i registri, fissare delle regole, sovvertirle, non troppo parlare, agire, essere, intelligentemente, follemente, sensibilmente. Lupo lupo, ma ci sei? (testo di Giusi Quarenghi, Giunti Kids, 2003), Vedo vedo… Cosa vedi? (testo Giusi Quarenghi, Giunti Kids, 2004), Guarda guarda… Guarda bene! (testo di Giusi Quarenghi, Giunti Kids, 2006), Faccio come te!(testo di Giusi Quarenghi, Giunti Kids, 2009), Le poesie piccole(testo di Roberto Piumini, Mondadori, 2001), La ballata dei mesi(testo di Roberto Piumini, Mondadori, 1995), I dovinelli(testo di Roberto Piumini, Feltrinelli Kids, 2000), Venti parole di avventura(testi di Chiara Carminati, Rizzoli, 2011), Filastrocche del buio e del sonno(testo di Paola Parazzoli, Rizzoli, 2012), Rima rimani (testo di Bruno Tognolini, Salani, 2002), Rime di rabbia(testo di Bruno Tognolini, Salani, 2010), Il ghiribizzo(testo di Bruno Tognolini, Motta Junior, 2014), Il libro dei perché(testo di Gianni Rodari, Einaudi, 2011), Fra i banchi(testo di Gianni Rodari, Einaudi, 2013), sono il portato di una ricerca mai interrotta da Giulia Orecchia, condotta insieme ai poeti, dalla parte del linguaggio della poesia.