Il TerzOcchio – quello che gli altri non vedono

Intervista su “Il TerzOcchio – quello che gli altri non vedono”

L’intervista che segue è stata pubblicata sul mensile “Il TerzOcchio – quello che gli altri non vedono”

Com’è nata la sua passione per le illustrazioni? Soprattutto, perché ha preferito quelle per bambini? E com’è che queste si sono poi tramutate in un impiego?
C’erano libri per bambini bellissimi negli anni della mia formazione: ero al liceo quando uscivano i libri della Emme Edizioni e quando apriva la Libreria dei Ragazzi. Era un sogno poter fare nella vita un lavoro che consistesse nel disegnare. Ho messo sempre tutte le mie energie in questo progetto. Sbagliando e sperimentando. Non desideravo fare l’artista perché non capivo come si potesse conciliare l’arte col mercato dell’arte, mentre vedevo l’illustrazione come un mestiere. Amavo la letteratura e i libri, e mi è sempre piaciuto molto progettarli, anche dal punto di vista cartotecnico e grafico. Sono grata al caso che mi ha fatta nascere in un periodo storico nel quale è stato possibile per me “sbarcare il lunario” facendo questo lavoro.

Da cosa trae ispirazione per realizzare le idee e i disegni?

Tutto… i bambini veri quelli in carne e ossa, i libri, le mostre, le navigazioni notturne in internet, i viaggi… Qualsiasi esperienza quotidiana. Fondamentale per me è sapere che sto lavorando su un progetto concreto. Tengo sempre presente il pubblico e il mercato cui un lavoro è

destinato: cerco di adottare un linguaggio visivo che mi

sembri adatto. Leggo attentamente il testo: cerco nei limiti delle mie capacità di fare illustrazioni che abbiano lo stesso registro linguistico, e che pagina per pagina accompagnino il testo senza prevaricarlo o ignorarlo.

Sceglie personalmente cosa illustrare e cosa no?

Sì. Scelgo cosa e come illustrare, consegno in genere il lavoro solo quando è finito. E’ più facile per me, perché lavoro sul libro nel suo insieme, cominciando dall’inizio e magari saltando qualche pagina per poi recuperare dopo, e fino alla fine aggiusto, aggiungo, tolgo e correggo qua e là. Mandare gli schizzi per l’approvazione è un percorso che mi costa moltissimo e mi fa perdere entusiasmo ed energie, quindi se posso lo evito, e per mia fortuna in questi ultimi anni mi è stato quasi sempre concesso. E’ un privilegio che mi sono conquistata nel tempo, guadagnandomi la fiducia delle persone con le quali lavoro.

Ha mai rifiutato un lavoro perché non le piaceva il soggetto o il contenuto su cui realizzare l’opera?
Rarissimamente… però ho rifiutato lavori perché il contratto e le condizioni economiche erano inaccettabili

Le sue illustrazioni sono famose e riconoscibilissime: quanto conta nel suo campo avere uno stile proprio, ben definito e distinguibile dagli altri?
Non so. L’editore che si rivolge a un illustratore deve sapere cosa aspettarsi da lui. Quando ho iniziato a lavorare mi dicevano che dovevo essere capace di adottare stili diversi

per rispondere alle diverse richieste del mercato. Purtroppo

ognuno ha i suoi limiti, e certe cose io non le so proprio fare. Lo stile è il risultato di un mix tra le proprie doti naturali e i propri limiti mescolati con la formazione culturale e artistica, la storia dell’arte, le tecniche, le esigenze del mercato, le mode e le tendenze, le occasioni colte e quelle non colte… Anche quando decido di fare qualcosa di diverso, il risultato è sempre qualcosa di riconoscibile: difficile uscire dai propri limiti.

Come è iniziata la sua collaborazione con Mondadori?

Federico Maggioni, grande illustratore e direttore artistico, anni fa era consulente alla Mondadori Ragazzi di Margherita Forestan. Mi propose di fare “qualche disegnino veloce” per 4 copertine di una nuova collana per adolescenti per la quale lui aveva fatto un bellissimo progetto grafico. Queste copertine sono state un gran successo: i testi erano molto divertenti e i titoli dei libri, tradotti benissimo da Francesca Lazzarato, erano strepitosi. La collana è andata avanti per anni, ancora adesso ne escono almeno 4 titoli all’anno.

C’è stato un incontro determinante che ha dato una svolta alla sua vita professionale?
Lavoravo già da qualche anno. Il primo libro per bambini l’ho fatto per Loredana Farina, che era l’editore della Coccinella, quando la Coccinella era una delle nuove interessanti case editrici dei primi anni ottanta in Italia. Loredana aveva un progetto cartotecnico per un semplice pop-up, ma non aveva un soggetto. Mi propose, e non aveva troppe aspettative, di fare un progetto sul suo campione bianco. Il mio progetto le

piacque e il libro uscì non solo in Italia ma anche in Gran

Durante i laboratori, che obiettivi si propone di realizzare con i suoi piccoli allievi?
Far loro capire che giocare con le immagini è divertente ed eccitante, che si possono fare cose bellissime se non si ha paura di non esserne capaci, che cambiando i punti di vista si imparano cose e che insieme si fa tanto, e meglio, che da soli. Propongo loro di fare un libro. Partiamo da un soggetto, che loro illustrano liberamente utilizzando tecniche grafiche inusuali e stimolanti, che attraverso limiti e opportunità nuove li costringono ad esplorare possibilità espressive inaspettate. Poi li porto ad elaborare l’immagine prodotta, trasformandola attraverso l’adozione di un punto di vista diverso. A questo punto passiamo alla verbalizzazione: i

bambini, che hanno elaborato le immagini e

Bretagna e Francia.

Qual è il suo libro preferito tra quelli che ha illustrato? E quello che, in generale, è il suo preferito da leggere?
Ho un affetto particolare per Lupo lupo ma ci sei? e La gazza Rubina, due libri progettati insieme agli autori del testo nei quali l’immagine e il testo interagiscono alla pari (i testi sono rispettivamente di Giusi Quarenghi e di Roberto Piumini). Il modo di lavorare più interessante per me è questo: progettare i libri a 4 mani, pensando insieme, illustratore e scrittore, attraverso un dialogo continuo, al libro nel suo complesso, sia dal punto di vista grafico e delle immagini che da quello del testo.

inconsapevolmente i pensieri che il lavoro grafico ha suscitato in loro, scrivono un piccolo testo in rima, lavorando quindi, anche con le parole, e grazie ai limiti che la rima impone, sulla sperimentazione di accostamenti imprevedibili. Poi i contributi dei singoli vengono raccolti in un unico libro. La trasformazione delle pagine sciolte in un libro è una magia che suscita sempre grande sorpresa, anche perché la somma dei contributi dei singoli è sempre molto più ricca e variegata di quanto ciascuno si possa aspettare, avendo lavorato fino a quel momento al proprio unico soggetto. La lettura condivisa del libro è un momento molto gratificante, nel quale ciascuno vede il proprio contributo valorizzato dal gruppo.

Cosa adora e cosa proprio non sopporta dei bambini?

Li amo quando sono curiosi e creativi, non li sopporto quando sono superficiali e conformisti…

Ha due figli: è difficile conciliare famiglia e impegni di lavoro?
Sì. Però si possono organizzare i propri orari e dosare le energie a seconda delle esigenze del momento: per esempio, se la mattina c’è un colloquio con gli insegnanti, si può lavorare dopo, dal primo pomeriggio fino a mezzanotte… non è comodo! ma si può fare. I libri hanno tempi di consegna in genere piuttosto lunghi, si possono programmare abbastanza bene.

Quando non disegna, quali sono le sue altre passioni?

Mi piace andare al cinema, leggere libri, cucinare, viaggiare.

Conosco molte persone che sognano di illustrare la copertina di un libro: ha qualche consiglio da dare loro per intraprendere questa strada?
E’ un momento così difficile… per tutti, ma soprattutto per i giovani. Comunque io credo che le illustrazioni per le copertine dei libri non debbano essere troppo narrative; meglio dire qualcosa di incisivo e sintetico, cercando di creare immagini che stabiliscano un rapporto molto diretto ed emotivo con chi guarda.